Si dice “Antonello Falqui” e subito si pensa al “varietà televisivo” di cui il regista è stato -per unanime e ribadito riconoscimento- in pratica “tutto”: inventore, cultore appassionato, divulgatore e maggiore interprete, sempre con la capacità di tenere insieme il gusto, lo stile, il ritmo e la contemporaneità dei linguaggi. Maestro di bottega e capocomico, con un tocco decisamente internazionale.

I genitori – Firenze 1924

Antonello Falqui nasce a Roma, in casa, come d’uso ai tempi, nell’abitazione dei nonni (via Muzio Clementi, piazza Cavour), il 6 novembre del 1925. Segno dello Scorpione.

Figlio di Enrico Falqui e Alberta Zuccolini, come dichiarerà in più interviste: “Dalla mamma ho appreso l’amore e da mio padre il rigore nel lavoro”.

Il padre di Antonello Enrico Falqui è un personaggio pubblico, un critico letterario molto conosciuto, stimato, famoso. Ed infaticabile, anche. Così Antonello, fin da bambino, frequenta con naturalezza quelli che sono gli ambienti del padre. Ed anche i suoi amici; amici che sono poi grandi scrittori, grandi pittori, grandi intellettuali, gente dello spettacolo. Nella loro casa, ad esempio, vengono a cena personaggi quali Renato Guttuso, Scipione, Alberto Moravia, Sbarbaro, Ennio De Concini, Vittorini, Bargellini e Curzio Malaparte.

A queste importanti frequentazioni si aggiungono i pomeriggi in casa di Giuseppe

Con mamma Alberta – 1926

Ungaretti e l’amicizia con la di lui figlia Anna Maria, “Ninon”, e le costanti “fughe” al cinema col padre o da solo. Tanto cinema. Anche due film al giorno! Film preferiti quelli d’avventura, come l’indimenticabile “Capitan Blood”, un avvincente film di pirati con Errol Flynn, oppure quelli di gangsters con il grande Paul Muni. “Io sono un evaso”, ad esempio.

Da ragazzo, è poi letteralmente rapito da un luogo preciso: il cinema Bernini di via Borgognona. Si tratta di un cinema allegro e chiassoso dove si può vedere… il varietà ! Arriva anche a marinare la scuola per andare al Bernini e vedere così Renato Rascel. Adora Rascel e gli altri “divi” del varietà e dell’avanspettacolo. Oltre al Bernini, frequenta anche il cinema-teatro Tritone.

Il primo libro che legge, o uno dei primi, è “Delitto e Castigo” di Fëdor Dostoevskij.

Alla radio ascolta il Trio Lescano, Cinico Angelini e la sua orchestra, le canzonette dell’epoca; ma soprattutto tiene per Pippo Barzizza e Natalino Otto: canzoni che sono molto più jazz ed “americane” e che fanno venire voglia di muovere le gambe… di ballare.

Inoltre, ogni giovedi, dalle 13 alle 13 e 30, rimane puntualmente incollato alla radio, come tutti i bambini, per ascoltare le vicende de “I quattro moschettieri”, con Nunzio Filogamo nella parte di Aramis.

Attraversa tutto il fascismo da bambino e da adolescente. Quando, il 10 giugno 1940, l’Italia dichiara guerra alla Francia e alla Gran Bretagna ha appena 15 anni.

Dopo gli orrori della guerra, si ritrova improvvisamente e quasi con sorpresa adulto.

Nonostante i lutti e le immani tragedie, il Paese cerca di rimettersi in piedi.

Ed Antonello, con i tanti di quella sua generazione, cerca la propria strada.

Si iscrive così all’Università, giurisprudenza, ma non porta a compimento gli studi. Altre cose infatti prendono con decisione il centro dei suoi interessi. Soprattutto -ancora- il cinema; dopo il blocco protezionistico del fascismo, arrivano finalmente tanti film americani, in più esplode il neorealismo. Antonello adora “Roma città aperta”, ma anche i film d’oltreoceano, e tra questi quelli con Fred Astaire e Ginger Rogers: “Carioca”, o “Roberta”, o l’affascinante “Cappello a cilindro” con le strepitose musiche di Irving Berlin, tra le quali quella dell’immortale “Cheek to cheek”, oppure “Seguendo la flotta” che è uno dei suoi film preferiti in assoluto.

Tessera postale -1957

Comincia così la sua, breve, attività di giornalista di spettacolo. Scrive per “Sipario”,  con alcuni pezzi sul cinema, su film o su attori, o comunque su protagonisti dello spettacolo. Articoli su Gregory Peck, su “L’Angelo Azzurro” di Josef von Sternberg, su “Il Vampiro” di Carl Theodor Dreyer, su Kirk Douglas; alcuni profili di protagonisti dello spettacolo, delle recensioni di film. Scrive anche per “Schermi”, “Bianco e nero”, giornali di cinema, e per i quotidiani “Gazzetta del Popolo” e “l’Avanti”.

Poi per qualche tempo lavora nell’ufficio stampa della Lux Film. Segue il “lancio” di film importanti quali “L’onorevole Angelina” o “Vivere in pace”.

Ma vivere ai “margini” non fa proprio al caso suo. Il cinema è talmente la sua grande passione che rompe ogni indugio: vuole esserne un professionista. Si iscrive così al corso di regia al Centro Sperimentale per il triennio 1948 /1950. Avrà importanti insegnanti: Alberto Lattuada, Alessandro Blasetti, Luigi Chiarini, Antonio Pietrangeli, Luciano Mondolfo, Edmo Fenoglio, Orazio Costa, Paola Borboni, Carlo Nebiolo.

Quando ancora non ha finito gli studi, gli arriva una proposta per fare da aiuto regista per un film. Il proponente è un grande intellettuale al debutto come regista: Curzio Malaparte, che Antonello conosce fin da bambino, ed il film è “Il Cristo proibito” (Italia, 1951).

Dopo quel primo film, lavora ancora come aiuto-regista per Anton Giulio Majano, Camillo Mastrocinque e Mario Soldati. Successivamente affronta la regia di alcuni documentari, tra cui quello di esordio, autoprodotto, “Il fiume nero”.

Tutto sembra andare verso l’affermazione di Falqui come professionista del cinema; ma succede qualcosa che invece cambierà radicalmente i suoi propositi.

Il 12 aprile 1952  entra in funzione a Milano il Centro di produzione di corso Sempione, dotato di 2 studi televisivi e di un trasmettitore televisivo.

Tutto era pronto per una nuova, piuttosto ignota, avventura… l’era della televisione.

Sollecitato dal padre, Antonello sente il richiamo di questa nuova “impresa”, che appare affascinante e rischiosa. Dopo un colloquio con i dirigenti Rai, arriva a Milano nel settembre del 1952 per prendere parte in prima persona alla “sfida” che a lui ed ai suoi colleghi viene proposta.

Da regista realizza per la televisione “sperimentale”, alcuni programmi. Fra gli altri lo segnala particolarmente all’attenzione “Vita e conclave: Pio XII”, col quale il giovane autore affina la conoscenza del mezzo televisivo.

Con Mike Buongiorno – Arrivi e Partenze – 1954

Dal 1953, si occupa di una delle prime rubriche della Rai “Arrivi e partenze”, poi proseguita a Roma sino al ’55. Ne è il “presentatore” un “certo”

Mike Bongiorno ed il programma consiste in una serie di incontri con personaggi famosi che arrivano o partono da Milano e poi Roma.

Quando, il 3 gennaio 1954, alle ore 14,30, iniziano le trasmissioni televisive “ufficiali” della Rai, la prima trasmissione in assoluto ad andare in onda in diffusione nazionale è proprio “Arrivi e partenze”.

Nel 1956 realizza un documentario simbolicamente molto importante: “Pompei. Venti secoli dopo”. Per la prima volta, le telecamere della Rai entrano a Pompei…

Antonello resta però sempre in attesa di conoscere quale sarà la sua “strada” nell’azienda. Ha sempre bisogno di nuovi stimoli e di mettersi alla prova. Cerca qualcosa, ma non ha ancora le idee chiare.

La “svolta” professionale che attende arriva con “Il Musichiere”, un programma “leggero”, “quiz” e canzoni: un successo clamoroso! E’ qui che Falqui finalmente “vede” in embrione la propria “originale” collocazione nella Rai delle “origini”.

Ha come autori la coppia Garinei e Giovannini e come animatore e presentatore l’esperto Mario Riva. La trasmissione domina le annate televisive 1958, 1959 e 1960. Mario Riva diviene un personaggio dell’intera ribalta nazionale, mentre tutta l’Italia si appassiona e si ferma ad osservare con partecipazione quel “semplice” “gioco” musicale.

Il Musichiere– ha affermato poi Falqui – è stato un po’ la riprova delle capacità che ha la televisione di rendere collettivi certi fenomeni. In questo senso era interessante scoprire la dimensione “discreta e domestica” del piccolo schermo, che, senza violare l’intimità della famiglia, introduce nella società nuovi modelli di partecipazione alla comunità. E poi l’italiano rimaneva appagato nel suo bisogno musicale che, ironicamente, era espresso nelle forme avvincenti della gara”.

Individuato il “campo” dello “spettacolo leggero”, il percorso dell’impegno in televisione di Falqui era così stabilito, ed arrivava fino al “varietà”.

La grande affermazione delle due prime edizioni televisive di “Canzonissima”, “programma abbinato alla Lotteria Italia”, del 1958 e del 1959, consacrano Antonello Falqui come regista di successo. Protagonisti vincenti con lui ne furono Renato Tagliani, Ugo Tognazzi, Walter Chiari, Gianni Agus, Enza Soldi, Lauretta Masiero, Scilla Gabel, Corrado Pani, ed ancora Delia Scala, Paolo Panelli e Nino Manfredi.

Di qui in poi, il lavoro di Falqui sarà quello di aggiornare e rendere poi “perfetti”, sempre più, i propri spettacoli televisivi.

Alcuni amici e professionisti lo accompagnarono da subito nei suoi programmi: Guido Sacerdote, conosciuto a Milano, alla tv sperimentale, come autore e talent scout; per la musica Gorni Kramer e Gianni Ferrio; per le scene Carlo Cesarini da Senigallia; Don Lurio per le coreografie. E in più tanti “tecnici” affezionati e sempre confermati nella squadra.

Parigi – Con Guido Sacerdote e Cesarini da Senigallia

Nel percorso di perfezionamento un viaggio fatto con Sacerdote viene ricordato come “illuminante” e “fondamentale”. Ma non fu, come è stato spesso detto,  un “viaggio di studio”, quanto piuttosto una ricerca di talenti.

Si recano in Inghilterra, Stati Uniti, Messico, Francia eccetera. Un mese o poco più, in giro per il mondo. Era la fine degli anni ’50.

In questo modo portarono in Italia le Kessler, Marcel Amont, Henry Salvador, Mac Ronay e tanti altri.

Mac Ronay lo trovano al Crazy Horse; al Bobinot, un grande teatro di varietà di Parigi, scoprono Zizi Jeanmarie, una straordinaria ballerina e showgirl, che veniva dai successi di Broadway.

Comincia l’ “era di Antonello Falqui” e durerà fino agli anni ’80.

Di qui in poi, solo una lunga catena di successi, che lo consacreranno come il “Re del sabato sera” degli italiani, cui farà compagnia con sue le proposte del “piccolo” schermo, sempre improntate alla “classe”, al rigore storico e culturale, alla signorilità, all’eleganza. Qualche titolo, tra garbo ed ironia: “Giardino d’inverno”, “Studio Uno”, “Biblioteca di Studio Uno”, “Teatro 10”, “Stasera Rita”, con Rita Pavone, poi ancora due edizioni di “Canzonissima”, “Milleluci” con Mina, nella quale ha visto – per primo, e con tanto del suo impegno diretto e personale – rivelarsi l’artista inarrivabile che è, e con Raffaella Carrà.

Ogni programma però, sempre un’innovazione, attento alle tematiche sociali ed ai risvolti artistici e musicali.

Raggiunta la padronanza con la tecnica e le riprese televisive, ora cerca la strada per un “musical” italiano, poi cerca ancora combinazioni nuove per un “varietà” “pop”, “alternativo”. E’ instancabile ed è un noto perfezionista; incute timore, per questo.

Cinema che follia – 1988 – con Iris Peynado

Altri titoli: “Dove sta Zazà”, “Fatti e fattacci”, “Mazzabubù”, “Bambole, non c’è una lira”, “Il ribaltone”, “Giochiamo al variété”, “Al Paradise”, con Mariangela Melato, “Cinema, che follia”… . Operette, commedie musicali, serate d’onore…  sketch e canzonette… e la sua compagnia che si ingrandisce fino ad ospitare Aldo Fabrizi, Franca Valeri, Alberto Lupo, Vittorio Gassman, Milva, Gigi Proietti, Ornella Vanoni, Gabriella Ferri, Arturo Brachetti, Christian De Sica, Daniele Formica, Leopoldo Mastelloni, Pippo Franco, Oreste Lionello, Paolo Villaggio e tanti, tanti altri…

Tra l’altro, grandi autori, ed autori di testi: Garinei & Giovannini, Dino Verde, Antonio Amurri, Castellano & Pipolo, Leo Chiosso, Lina Wertmuller, Marcello Marchesi, Maurizio Costanzo, Enrico Vaime, Roberto Lerici.

Il “segreto” di Antonello Falqui? Del suo duraturo successo? Del rispetto conquistato tra i colleghi (cosa rara!)? Ce lo rivela lui stesso nella propria scheda biografica della RAI: “Odio tutto ciò che è casuale, fortuitamente lasciato agli eventi, fuori dell’orbita del pensiero. Lo spettacolo musicale è seguito da un numero elevato di spettatori: questo deve rendere ancora più preciso il compito del regista. Accanto all’esigenza di accontentare il pubblico, ci deve essere, secondo me, una ferma volontà di stimolare il buon gusto, di elevare il più possibile il livello della materia trattata”.

Ecco qui la sua “ricetta”: “impegno inflessibile nel lavoro”, “rispetto del pubblico”, “precisione”, “etica”, questi i dettami di una carriera di successo, la radice della stima sconfinata nei confronti dei suoi programmi tutt’ora di grande gradimento per tantissimi, appassionati fan. E la passione nei confronti di un “genere”, il “varietà”, forse messo nel dimenticatoio troppo in fretta dai confezionatori di palinsesti televisivi, senza considerare che quella formula mista d’intrattenimento si avvicina ed incarna, molto più di tanti reality e format vari, il vero specifico della tv.

Enzo Lavagnini